Buonasera a tutti,
e grazie di aver deciso di presenziare a questo evento.
Mi scuso anzitutto per la mia assenza, ma improrogabili impegni riconducibili al mio servizio istituzionale non mi hanno permesso di essere qui.
Lavoro da quasi vent’anni in qualità di maresciallo dell’Arma dei Carabinieri, e le innumerevoli esperienze maturate sul campo mi hanno permesso di comprendere quanto la psichiatria e gli psicofarmaci abbiano fatto breccia fin dentro al cuore della nostra società.
Anni fa, chiunque avesse passato un momento di difficoltà durante la propria vita, avrebbe ricevuto un conforto umano, fatto di parole, gesti ed emozioni.
Ora, invece, vi è un’inarrestabile tendenza a psicomedicalizzare tutta una serie di comportamenti, azioni e reazioni che sono in realtà, nella stragrande maggioranza dei casi, tipicamente umane.
Il consumo di psicofarmaci nel mondo è solo inferiore a quello dei lassativi: ormai ci siamo tramutati in bipedi depressi che non riescono più ad andare al bagno.
Ma cosa sono anzitutto gli psicofarmaci?
Gli psicofarmaci sono e rimangono delle sostanze di sintesi totalmente chimica, che ingerite riescono a superare la barriera ematoencefalica, espletando la loro “funzione” direttamente sulle sinapsi cerebrali.
Una sostanza chimica ha l’ardire di voler interagire con le infinite connessioni neuronali di una “macchina” complessa come il cervello umano, e ancora quasi totalmente sconosciuta? Ecco il primo madornale errore della psichiatria moderna.
Semplicemente non si può, in quanto sarebbe come inserire una scheda in un potentissimo computer, fregandosene altamente di come il nuovo hardware andrà ad interagire con quello già esistente.
Considerato inoltre che ognuno di noi è un essere a sé stante, con caratteristiche generali simili in quanto essere umano, ma peculiare e unico per molti altri aspetti, ecco che l’assunzione di psicofarmaci può essere equiparata a una roulette russa.
Ogni qualvolta infatti una sostanza viene introdotta all’interno del nostro organismo, si hanno due possibilità:
-la riconosce come “self” e quindi compatibile ed utilizzabile (ad esempio un cibo consumabile dalla nostra specie);
-la riconosce come “non-self” e quindi incompatibile, inutilizzabile, e da espellere nel più breve tempo possibile (tutte le sostanze estranee e di sintesi chimica).
Nel caso degli psicofarmaci, essi sono stati studiati e prodotti, come già detto, per superare la barriera ematoencefalica, e quindi già dalla prima assunzione costringono il nostro corpo ad un superlavoro al fine di mantenere una situazione di omeostasi, e cioè di equilibrio interno.
Questa spiegazione di tipo “tecnico” deve ora lasciare il posto a cosa siano veramente gli psicofarmaci, e quali effetti abbiano sul corpo e sullo spirito di chi li assume.
Da anni osservo gli effetti delle sostanze stupefacenti sugli individui che le assumono, e non posso negare che gli psicofarmaci, seppur legali, siano assolutamente più subdoli e pericolosi di moltissime droghe da strada.
Subdoli perché il loro ottenimento a seguito di una prescrizione medica è un fattore tranquillizzante riguardo alla loro asserita innocuità; pericolosi, perché, come spiegherò successivamente, sono sostanze che definirei senza eufemismi demoniache, capaci di trasformare profondamente anima e corpo di chi li assume.
Cosa succede quindi quando uno psicofarmaco entra nel nostro corpo?
Anzitutto dobbiamo distinguerli per categorie, che vanno dai tranquillanti minori, agli antidepressivi, fino ai neurolettici, passando poi per ulteriori diverse sottocategorie.
Tutti però condividono un aspetto, che è poi il medesimo di praticamente tutti i farmaci allopatici e non: sono sintomatici, e cioè non sradicano la causa alla base della sintomatologia in atto, bensì la sopprimono, provocando quella che io chiamo “illusione di guarigione”.
Quando quindi un antidepressivo, ad esempio, viene assunto, il nostro sistema immunitario lo riconosce immediatamente come una sostanza “non-self” e quindi da eliminare nel più breve tempo possibile.
Lo sforzo messo in atto dal nostro corpo è però insufficiente a contrastare nell’immediatezza la potenza di tali molecole, che riescono quindi a espletare il compito per cui sono state progettate.
Si ha quindi, nel caso degli antidepressivi, un’azione diretta sui neurotrasmettitori deputati alla gestione non solo dell’umore, ma anche di moltissime altri funzioni, come ad esempio il ciclo sonno-veglia e l’appetito.
Gli antidepressivi della nuova generazione, e quindi quelli denominati “SSRI” e “SNRI”, rispettivamente selettori della ricaptazione della serotonina e della serotonina-noradrenalina, hanno la funzione di evitare, rallentandolo, il naturale riassorbimento a livello neuronale di tali neurotrasmettitori, aumentandone quindi la disponibilità.
Magicamente, quindi, ma solo quando va bene (e di quando va male parlerò in seguito), dopo circa tre settimane di assunzione, il paziente grida al miracolo, avvolto da un buonumore artificiale chimicamente controllato, tanto potente quanto effimero, e destinato a durare meno di quanto si creda.
Quello che esternamente si vede è un sorriso forzoso che queste sostanze stampano sulla faccia di chi li assume, mascherando in realtà lo sconquasso che sta avvenendo all’interno del corpo.
Il sistema immunitario continua infatti a combattere queste sostanze a esso sconosciute, ordinando la produzione di ulteriori sostanze che vadano a compensare il danno in atto, sempre per il principio che il corpo tende sempre e comunque a ricercare una situazione di equilibrio, detta omeostasi.
Per un altro principio cardine, e cioè che “quando il corpo viene esautorato da una determinata funzione, la parte preposta smette di funzionare e si atrofizza”, quando si assume ad esempio un ansiolitico, riuscirà poi difficile riuscire “ a calmarsi” senza, in quanto il corpo smetterà, vedendosi sostituito, di produrre quelle determinate sostanze deputate a mantenerci tranquilli.
Ritorniamo quindi al nostro antidepressivo…
La “cura” comincia a fare effetto, e quindi chi l’ha iniziata in conseguenza di una sintomatologia depressiva, può finalmente tornare a fare tutte le cose che aveva smesso di fare, sentendosi energico, propositivo e di buon umore, oltre che calmo.
Troppo calmo però, come molti lettori del mio blog mi scrivono.
Una calma surreale, artificiale, sproporzionata, come se si riuscisse a rimanere tranquilli anche se vi dicessero che vostro figlio è appena morto in un incidente stradale.
Questo fanno gli antidepressivi: come le sirene di Ulisse, prima vi infatuano con i loro apparenti e positivi effettivi, e poi si fanno conoscere per quello che realmente sono.
E se invece le cose vanno male?
Quando le cose vanno male, voi stessi, un vostro amico o un vostro congiunto potreste trasformavi alternativamente in uno zombie, un suicida, un malato di sesso, un assassino, e chi più ne ha più ne metta.
Gli antidepressivi SSRI e SNRI, e quindi tutti quelli riconducibili al Prozac, al Paxil, allo Zoloft, all’Effexor, al Cipralex, generici e marchiati (e la lista è infinitamente più lunga) possono, e in moltissimi casi hanno, effetti che sono tanto davanti agli occhi tutti, così come altrettanto facilmente si fa finta di non vederli.
Tali molecole, basta aprire un quotidiano per rendersene conto, influiscono così profondamente sul corpo umano da indurre comportamenti che vengono sempre giustificati come diretta conseguenza della patologia psichiatrica di cui si soffre.
Invece, l’epidemia di madri che uccidono i propri figli, di persone che si impiccano, di studenti che fanno stragi nelle scuole è armata da sostanze legali, all’apparenza sterili e innocue.
Un effetto collaterale indicato anche nei bugiardini di questi stessi farmaci è denominato come “akatisia”, e cioè uno stato di irrequietezza tale da portare a vere e proprie urgenze suicidiarie e/o omicidiarie, consistenti quindi nell’irrefrenabile impulso a fare/farsi del male.
Nel corso della mia ventennale carriera ho potuto personalmente constatare come moltissimi atti di natura violenta accadano contestualmente all’utilizzo di psicofarmaci, anche in persone di natura tendenzialmente mite, che mai e poi mai si sarebbe pensato avrebbero potuto fare del male a qualcuno.
Il suicidio per mezzo dell’impiccagione, per essere ancora più precisi, è il modo predominante attraverso il quale gli assuntori di antidepressivi “decidono” di togliersi la vita.
Sarà un caso? Il detto dice che un insieme di indizi formano una prova: in questo caso gli indizi sono le migliaia e migliaia di anime delle persone suicidatesi sotto l’effetto di questi farmaci che gridano all’infinito la loro sofferenza.
E tali nefasti effetti non sono gli unici effetti definiti “collaterali” di tali molecole.
Chiunque inizi una terapia con queste categorie di antidepressivi deve prepararsi a perdere gran parte di se stesso: la propria voglia di incuriosirsi, di emozionarsi, di amare, di soffrire, di poter avere una vita sessuale decente, di non ingrassare come una balena o diventare uno scheletro.
Tutto viene sostituito da un elettroencefalogramma piatto, sposando appieno la loro motivazione di utilizzo, e cioè il contenimento sociale di chi, senza tali pillole, “darebbe di matto”.
Ma quindi le malattie mentali esistono o non esistono?
Le malattie mentali, come concetto di vera e propria “malattia”, sono probabilmente la più grande farsa mai apparsa negli ultimi 50 anni.
Cioè che realmente esiste è la sintomatologia psichiatrica, che va ascoltata, seguita, interpretata e sconfitta alla radice.
Che senso ha alzare chimicamente l’umore con un antidepressivo senza aver scandagliato la motivazione per cui una persona è depressa?
Che senso ha lobotomizzare chimicamente un’area del cervello con un antipsicotico, senza aver scandagliato la motivazione per cui una persona entra in uno stato di psicosi?
Che senso ha sedare un attacco di panico con un ansiolitico senza aver scandagliato la motivazione per cui l’attacco stesso è partito?
La guarigione, quella vera, deve gioco-forza mirare al riequilibrio totale del corpo umano, e la conseguente sparizione della sintomatologia.
Perdere anni sul lettino dello psicologo per contrastare un disturbo ossessivo-compulsivo non può essere chiamata guarigione. Si è guariti quando il disturbo se ne va, non quando si tenta in continuazione di combatterlo.
Nessuno qui vuole negare che al giorno d’oggi i ritmi di vita e i colpi che la vita stessa ci assesta possano portare chiunque di noi verso un’instabilità di tipo mentale.
E qui bisognerebbe quindi intervenire non a suon di pastiglie e siringoni, ma bensì con le giuste parole, il giusto supporto, la giusta comprensione ed il giusto aiuto.
Quello che gli psichiatri dimenticano sempre è che ogni essere umano è fatto di anima e corpo, e che quindi come una preoccupazione può causarci un bel mal di testa, anche un problema di tipo organico può avere diretta influenza su quelli che sono i nostri equilibri psicologici.
Non dimentichiamo infatti mai che la salute, anche e soprattutto quella mentale, ce la giochiamo nel nostro tratto intestinale chiamato “colon”, ove vi è la formazione dei neurotrasmettitori cerebrali.
Un intestino in disordine significa umore ballerino, per usare un eufemismo, ed ecco quindi come detto in apertura, che psicofarmaci e lassativi vanno a braccetto.
Nel corso della mia carriera non ho mai visto un solo paziente psichiatrico essere seriamente scandagliato al fine di escludere qualunque motivazione di tipo organico alla base della sintomatologia in atto.
Se ad esempio siamo già fisicamente intossicati da un’alimentazione scorretta (e per corretta e compatibile con il nostro disegno strutturale, intendo quella vegana, il più crudista possibile), ecco che il decesso di un nostro congiunto può portarci in una spirale depressiva anche importante.
Ma la colpa non è unicamente dell’evento infausto.
Esso è stato semplicemente la miccia che ha fatto esplodere una situazione già precaria, assestando l’ultimo colpo decisivo ad un corpo già martoriato.
Ogni essere umano merita di alzarsi al mattino gioioso semplicemente di avere la consapevolezza di essere al mondo, e deve farlo evitando di trattare il proprio corpo e il proprio spirito come un cassonetto dell’immondizia.
Ho coniato un binomio che indico come “cibi puliti – pensieri puliti”: uno non può prescindere dall’altro, e la salute, anche e soprattutto quella mentale, deriva proprio da questo.
Vi faccio alcuni esempi pratici.
Se nella vita ho una famiglia meravigliosa, un sacco di soldi, due figli bellissimi e una Ferrari parcheggiata in garage, ma sono comunque allergico al glutine e lo consumo senza sapere di questa mia situazione, ecco che, “inspiegabilmente”, posso cadere in stati depressivi anche pericolosissimi, come testimoniato dalle migliaia di testimonianze dei blog a tema di tutto il mondo.
Come il glutine, ci sono tantissimi fattori che possono influire organicamente sulla nostra psiche, e potrei citarne io stesso a bizzeffe.
Vediamo, ancora una volta, i peggiori nemici della nostra psiche:
-Carne, pesce e proteine animali: causano putrefazione al livello del colon, che è il nostro secondo cervello e il luogo dove si producono i neurotrasmettitori celebrali. Intestino in putrefazione=depressione.
-Zuccheri raffinati: in primis il famigerato saccarosio (zucchero bianco) da tavola: favorisce picchi glicemici che possono portare falsa euforia e conseguente stato depressivo; sballa la produzione di testosterone nell’uomo e interferisce con la normale produzione ormonale; sottrae preziose sostanze nutritive al corpo umano, in quanto è un alimento morto che necessita di enzimi per essere digerito.
Nessuno sconto a zucchero di canna grezzo e non in quanto si tratta sempre e comunque di alimenti raffinati, morti e sepolti.
Non pensate che sia innocuo solo perché lo vendono al supermercato: è una sostanza chimica che di naturale non ha nulla, potente, dannosa e catastrofica per chi ne è particolarmente suscettibile.
Bocciati senza riserve anche tutti gli edulcoranti, capeggiati dall’aspartame.
-Metalli pesanti: mercurio, alluminio. Il peggio del peggio. Occhio alle amalgame dentali, che causano una continua e incessante intossicazione all’organismo. Il mercurio è risaputo per creare stati mentali che possono arrivare alla schizofrenia.
-Bibite gassate: quando ingurgitate una lattina di coca cola non fate altro che bere, assieme ad essa, una quantità di saccarosio impressionante. Lo stesso vale per tutte le altre bibite in lattina.
-Glutine e caseina: i cereali non sono cibo per tutti. Non sono cibo nato per l’Uomo, bensì per i granivori. L’intolleranza al glutine è ormai considerata un’epidemia su scala mondiale, mentre in realtà è la diretta conseguenza della normale reazione del corpo umano all’introduzione di una proteina a esso incompatibile e sconosciuta.
Sono associati al glutine diversi stati mentali: dalla depressione agli stati immotivati di rabbia, fino alla psicosi.
La caseina, veleno pari alle proteine animali, ha in più il difetto di essere un grande allergene e di incollarsi ai villi intestinali e di non permettere quindi la normale assimilazione dei cibi.
La rimozione del glutine e della caseina in bambini con autismo sta dando risultati impressionanti.
-Vaccinazione: i vaccini sono forse il peggior insulto che può essere fatto a un essere umano. Metalli pesanti, DNA umani e animali. Un insieme di porcherie di cui non vale nemmeno la pena ribadire la tossicità.
-Farmaci: moltissimi farmaci agiscono sui recettori nervosi pur non essendo definiti “psicofarmaci”: dagli antistaminici alla pillola per la pressione; dal farmaco contro la tosse a quello per il mal di testa.
-Denti devitalizzati: un dente devitalizzato è un’appendice morta tenuta attaccata al corpo con la forza. È come se volessero tenervi attaccato un dito putrefatto. La proliferazione incontrollata di tipo batterico, dovuta al marciume presente in una zona così delicata come quella del viso-cranio, può drenare le capacità di reazione del sistema immunitario portando stati depressivi anche gravi.
-caffè, sigarette, alcolici, sostanze stupefacenti.
Questo è solo una lista a titolo esemplificativo, ma per far capire come corpo e anima siano intimamente connessi.
La potenza degli psicofarmaci si vede poi chiaramente quando si tenta la loro dismissione.
Chiunque assuma psicofarmaci, oltre a essere conscio della estrema pericolosità e dannosità delle sostanze che assume, deve anche essere preparato al momento in cui deciderà di scalarli.
Non voglio infatti soffermarmi ulteriormente su quanto tali sostanze siano una porcheria, che mascherano i sintomi quando va bene, distruggendo il corpo e la mente.
Voglio rendere chiaro che scalarli può scatenare in un gran numero di casi delle crisi di astinenza tali da trasformare questa procedura in un vero e proprio inferno sceso in terra.
Soprattutto le benzodiazepine (quindi tutti i tranquillanti) che gli antidepressivi della classe SSRI sono i peggiori e i più ostici da dismettere.
Tremori, nausea, incubi notturni, manie omicide, voglia di fare o farsi del male, delirio, stati depressivi gravissimi, sensazione di scosse elettriche al corpo sono solo alcuni dei sintomi causati dalla dismissione del Prozac, del Paxil, del Wellbutrin, del Celexa, dell’Entact, del Cipralex, tutti nomi che hanno una sola cosa in comune: sono sostanze demoniache, che quando va bene danno un senso di sollievo momentaneo, ma che portano un conto da pagare molto salato quando si tenta di abbandonarle.
Internet è pieno di testimonianze di persone che hanno impiegato anni, a volte senza riuscirci proprio, a scalare queste sostanze, che piano piano si sostituiscono artificiosamente alla produzione dei neurotrasmettitori cerebrali, diventando indispensabili non PER STARE BENE, ma per TENTARE DI CONDURRE UNA VITA “NORMALE”.
Gli psichiatri prendono tutto sotto gamba, e l’ignaro paziente, oltre a non essere reso edotto che ci sono moltissimi altri modi naturali di combattere gli stati d’ansia e depressivi, viene “tranquillizzato”, e non gli viene spiegato bene che quando deciderà di scalare andrà incontro a serissime reazioni avverse.
Ma cosa sono queste reazioni avverse?
Quando si tenta di scalare uno psicofarmaco, il corpo, trovandosi privato di una sostanza dannosa che lo aveva forzosamente obbligato ad alterare il proprio stato biochimico, cerca disperatamente di tornare a una nuova condizione di normalità.
IL CORPO NON VA MAI CONTRO SE STESSO e quando viene diminuito lo psicofarmaco assunto, il corpo si autoregola, ricominciando a produrre tutti quei neurotrasmettitori cerebrali che venivano prima falsamente sostituiti dall’antidepressivo di turno.
Tutto questo ha però un prezzo da pagare: PER STARE MEGLIO BISOGNA PRIMA STARE PEGGIO, come ho scritto in un altro articolo.
Significa che la transizione fa scattare una vera e propria crisi eliminativa, per cui il corpo butta fuori le tossine accumulate facendoci sentire peggio di prima.
E QUI BISOGNA TENERE DURO, perché come in un tossicodipendente, le crisi di astinenza non sono altro che il tentativo disperato del corpo di tornare alla normalità.
I consigli utili sono quindi questi: scalaggio assolutamente lento, tanto più lento quanto più lungo è stato il tempo di assunzione.
Alimentazione VEGANA il più possibile CRUDISTA per fornire al corpo tutte le sostanze di cui avrà bisogno per affrontare un percorso così duro e delicato.
NON CEDERE alla tentazione di assumere altri farmaci per combattere gli effetti della crisi eliminativa: avere fiducia nel proprio corpo e nelle proprie possibilità. Tutto passa, e il nostro sistema immunitario sa meglio di qualsiasi altro dottor quello che deve essere fatto.
A parole può sembrare facile, ma in realtà per molte persone è un vero e proprio inferno sceso in terra.
Altro argomento da trattare è la ciclicità e la cronicizzazione delle manifestazioni psichiatriche, quali ulteriori prove che gli psicofarmaci mascherano la sintomatologia senza sradicare le vere cause alla base.
Ciò che accade quindi nel mio lavoro è di avere a che fare con persone che subiscono più ricoveri, più trattamenti sanitari obbligatori, che assumono cocktail di farmaci, che cambiano continuamente molecole, per trovarsi sempre e comunque allo stato di partenza, peggiorati dall’enorme carico tossico introdotto.
Guarire non significa essere sedati, rimanendo seduti buoni e tranquilli su di una sedia a fare, quando si riesce, le parole crociate.
Guarire significa riappropriarsi delle proprie emozioni, della propria capacità di affrontare le sfide, i momenti belli e i momenti brutti che la vita porta a chiunque, indipendentemente da ceto sociale e capacità economica.
Il succo di questo mio intervento è semplicemente questo: senza voler fornire alcun parere medico in quanto legalmente incompetente, invito tutti ad aprire gli occhi, a leggere il giornale con occhio critico quando in esso viene descritto l’ennesimo omicidio di una madre sotto antidepressivi nei confronti del proprio figlio, a capire quanto il cervello sia un organo ove i nostri pensieri si sviluppano anche in relazione al nutrimento che gli arriva, sia esso fisico o psicologico.
E prima di assumere molecole psichiatriche, pensate, riflettete, scandagliate voi stessi, con la consapevolezza che mai e poi mai una pillola potrà restituirvi l’equilibrio perduto, che potrà essere riconquistato solo rimettendo, a uno a uno, i giusti mattoni in quello che è il castello della vita.
Vi ringrazio, e augurandovi buona vita, rimango a disposizione sul blog e all’indirizzo email pbisant@hotmail.com
Pietro Bisanti
Per tutti: a breve uscirà il mio primo libro “ASSASSINI IN PILLOLE: La psichiatria moderna vista con gli occhi di un carabiniere”: prenotazioni a pbisant@hotmail.com
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