PIETRO BISANTI “SPACCA IL CULO” A QUATTRO MERDOSI PSICHIATRI: PRIMA DI SCHIACCIARE I PIU’ DEBOLI, VE LA VEDRETE CON ME. LEGGETE E RABBRIVIDITE
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LETTERA
Gentile Pietro,
sono la mamma di un ragazzina di quasi diciotto anni, di nome ******. E’ sempre stata una ragazzina forte, determinata, socievole con me e con tutti. Nell’ultimo anno, però, iniziando a fumare hashish, a bere, da prima occasionalmente e poi sempre più spesso, a praticare diete sconclusionate, era diventata sempre più irrequieta e a tratti aggressiva con me che tentavo di fermarla dal consumare quelle sostanze. A marzo è stata fermata dalla polizia di ***** nell’atto di acquistare una piccola dose di Hashish. Da lì è tutto precipitato.
Se da una parte era era riuscita a dissuadersi dal consumare quelle sostanze e bere, dall’altro dopo due mesi di suo enorme impegno per recuperare a scuola e star lontano da tutto, pur avendo preso negli ultimi due mesi tutti sette e otto, ha subito una bocciatura che ha provocato in lei enorme frustrazione e che l’ha portata a ritornare sui passi sbagliati di prima.
Questo è durato fino alla partenza per il mare dove ***** è stata abbastanza bene e tranquilla, lontano da quelle bestie che sono l’alcool e le droghe, pur presentando ancora atteggiamenti ansiosi con me e problemi di insonnia.
Subito al rientro, dal 17 agosto al 22 mi è però nuovamente sfuggita di mano, uscendo tutto il pomeriggio e la sera, rifuggendo qualsiasi contatto con me, probabilmente per non farmi sentire l’odore dell’alcool o vedere gli occhi. Intanto non dormiva, non mangiava o poco, ed ero estremamente preoccupata.
Il 22 di agosto, rientrando mia mamma ( la nonna), disabile, dal mare e venendo a stare da noi per qualche giorno per sollevare un po’ mia sorella che la teneva da giorni, ***** deve aver cercato di smettere di bere per non dover rifiutarle un bacio o un abbraccio per non farle sentire l’odore dell’alcool, continuando però a fumare, a mangiar poco o nulla e a non dormire.
La sera prima del suo ricovero in Psichiatria al ******, ***** era stata fuori fino a tardi, l’una di notte, senza dare notizia a nessuno di dove fosse e con chi, se non messaggi incomprensibili e sconclusionati.
Dopo averla cercata inutilmente è giunta a casa all’una in uno stato pietoso, con le occhiaie nere e visibilmente alterata. La mattina successiva, dopo essere uscita a comprare il pane, aver portato mia mamma da mia sorella, perché sentivo di dover assistere *****, la ritrovo in cortile urlante in evidente delirio allucinatorio ad innaffiare fiori del balcone, sito al piano terra, di un vicino di condominio. Pazientemente riusciamo a convincerla a risalire in casa.
Chiamo il padre chiedendogli di venire per aiutarmi a trattenerla in casa, perché voleva nuovamente uscire e non potevo lasciarla andare in quello stato.
All’arrivo del padre inizia una “lotta” lunga alcune ore, con lei che a tratti tornava all’attacco per uscire e noi che glielo impedivamo. In alcuni momenti si calmava, tornando in camera a leggere o suonare, a tratti tornava all’attacco urlando e dimenandosi violentemente per uscire, finché un vicino ha chiamato l’intervento dei carabinieri.
All’arrivo dei carabinieri ***** va in panico e inizia a fare la sciocca, a dire che l’avevamo sequestrata e picchiata, benché invece avevamo solo tentato di trattenerla, e a mostrarsi bambinesca, sconclusionata.
Decidono di portarla al pronto soccorso del *****, dove io chiedo il ricovero in reparto tossicologico. Mi dicono che non c’era e che l’unico reparto era Psichiatria.
Dico no, mia figlia ha bisogno di altro, cure nutrizionali, disintossicazione dall’alcool e fumo, è sempre stata bene, etc. Niente da fare, mi fanno intendere che non potevo che firmare il consenso al ricovero, mi dicono che si sarebbe trattato di soli due o tre giorni e che avrebbero fatto tutti gli esami del caso.
Sin dal mattino seguente invece la ritroviamo barcollante con una sigaretta in mano sul letto, enormemente sedata e molto arrabbiata e sbraitante con noi, perché ci accusava di averla fatta ricoverare lì.
Così da subito i dottori e gli infermieri, invece di rassicurala e calmarla, ci allontanano e ci dicono di venire solo nel pomeriggio. Nel pomeriggio stessa sceneggiata. Ci ferma il medico e ci dice che avrebbero fatto tutti gli esami, ma che senz’altro era “ altro” e che quindi i tre o quattro giorni si sarebbero trasformati in qualche settimana! Nel frattempo **** ha cominciato a sbattere contro le porte per uscire e un infermiere la prese stringendole molto violentemente i bicipiti, tanto che il padre intervenne intimandogli di mettere giù le mani.
Ci sbattono fuori, e subito dopo il medico, tale Dott. *****, mi telefona dicendomi di non andare più, o solo un’ora il pomeriggio, perché loro dovevano sentirsi liberi di “chiudere ***** in uno stanzino e usare i loro metodi” , minacciando l’intervento del tribunale dei minori.
Veniamo a sapere successivamente che il tribunale dei minori è stato contattato riferendo la nostra scarsa collaborazione e opposizione alle cure.
In realtà noi chiedevamo l’esame delle urine con il test alcoolemico e non fu fatto se non dopo una settimana, l’esame del capello, una visita oculistica perché ***** aveva una lente a contatto giornaliera ancora nell’occhio destro che non voleva o riusciva a togliere, uno screening nutrizionistico così come da protocollo avrebbero dovuto fare prima del ricovero e ci veniva detto che il mangiare era l’ultima cosa.
Nel frattempo, contravvenendo alle loro disposizioni, riuscivo ugualmente a intrufolarmi in reparto per assistere a mia figlia e vedevo che prima di ogni pasto le venivano somministrate delle sostanze che, o la facevano dormire o le impedivano comunque di deglutire.
Facevo presente la cosa, ma nulla, nessun ascolto da parte loro. Intanto ***** stava sempre peggio. Una mattina, verso mezzogiorno, dopo tre ore e più che ero lì con mia figlia per cercare di farla mangiare e bere, perché non riusciva neppure ad aprirsi una bottiglietta, mi ferma una dott.ssa chiedendomi cosa ci facessi lì, che la ragazza in nostra presenza si agitava e che per esempio quella mattina era stata abbastanza tranquilla senza di me.
Le faccio notare che ero lì da almeno tre ore con lei. La dott.ssa si irrita e mi manda via. Subito vengo contattata telefonicamente dal dott. *****, il medico che ha in carico *****, il quale mi dice d’ora in avanti di non andare più e mi fa presente che anche il pomeriggio precedente c’era stato un litigio con il fratello di ******, Il mio figlio maggiore.
Faccio notare che il litigio era scoppiato quando il fratello aveva l’aveva invitata a raccogliere le urine nel vasetto, così come loro avevano chiesto a noi di fare precedentemente. Il dott. risponde “va bene, non possiamo delegare a voi la raccolta delle urine, vorrà dire che la convinceremo noi, ma voi non potete più venire”. Riesco ad ottenere il permesso di un’ora pomeridiano. La mattina successiva non mi presento, attendo pazientemente e angosciata il pomeriggio.
Quel pomeriggio in cui la trovo sedata pesantemente, con il naso un po’ gonfio e segnato, tutta sudata e sporca, senza le mutandine sotto quel pantaloncini un po’ larghi di pigiama, in quel momento non legata. Non ricordo se in quell’occasione si è svegliata. Mi sembra di no. Il bagno era molto allagato, lo spazzolino, due mutandine sporche e l’asciugamano a terra nell’acqua mista a detergente scivoloso.
Vado a chiedere quindi un mocio per asciugare, pensando che da un momento all’altro poteva svegliarsi, andare in bagno e scivolare. Mi prendono in giro gli infermieri chiedendomi che lago ci fosse, se di Lecco o di Como, chiedo di non scherzare e di darmi qualcosa per asciugare.
Metto in ordine, asciugo, dò un bacio alla mia bambina, raccolgo le idee e le forze, e intanto passa un’ora e mi accompagnano alla porta.
Così il pomeriggio successivo. La ritrovo pesantemente sedata o narcotizzata, legata al letto con gli occhi strabuzzanti e il collo che non riusciva a reggere. voleva bere e non riusciva a deglutire e mi diceva, con flebile voce, mamma vero che sto male? Le scatto alcune foto.
Chiedo spiegazioni piangendo e mi invitano ad andare dalla dott.ssa in studio, la quale in tono aggressivo mi intima di stare calma , che c’era una magistratura a controllare. Chiedo una sedia perché mi sentivo mancare, e chiedo delle flebo per mia figlia che stava male.
Nulla, mi viene ribadito che non servivano, intanto era già da giorni che non si cibava e due che neppur beveva.
Torno in camera della mia bambina e trovo due infermieri accanto ancora legata. Mi dicono di non preoccuparmi, che gli avevano solo dato una dose più forte, che poi avrebbe dimenticato tutto, (tutto che?), che comunque la mattina aveva mangiato e che aveva anche fatto la doccia.
**** era sporca, con ancora lo stesso pigiama del giorno precedente e ancora senza pantaloncino. Allarmata chiedo con chi avesse fatto la doccia e un’infermiera risponde: “con me”. Possibile che non sia stata cambiata, faccio presente. La slegano e noto che non riusciva a reggere il collo e a tenere lo sguardo dritto, né a parlare bene. Barcolla, così la riaccompagnano a letto.
La mattina successiva io e il padre decidiamo di andare nonostante il divieto , ma un’infermiera ci ferma sulla porta dicendoci che era tranquilla, aveva mangiato dell’uva, e fatto uno shampoo. Le chiedo quale uva che io non gliela lascio per timore che si possa soffocare, risponde che gliela avevano data loro. E lo shampoo? Che bisogno c’era dello shampoo? E di dircelo poi? Mah…andiamo via e torno il pomeriggio…la trovo ancora in quello stato, legata, fortemente sedata o narcotizzata, impossibilitata a deglutire, a parlare o vedere.
Mi guardo intorno e non vedo più il suo shampoo. Mah… noto che i capelli sono sempre più impagliati, strani, appiccicati, spettinati, lei è ancora sporca, solo cambiata, ma sempre senza le mutandine.
Le faccio un video chiedendole di spiegarmi chi le avesse fatto lo shampoo.. ma non riesce a parlare.
Disperata, chiedo flebo e il trasferimento in terapia intensiva, ma nulla, mi viene ribadito che non ha bisogno di nulla.
Scade l’ora e mi accompagnano alla porta. quella sera non mi muovo dall’ospedale e da lì cerco l’intervento esterno di qualcuno, un medico esterno al reparto, ma nulla. Chiamo la polizia che si limita ad una telefonata in reparto, e mi richiamano dicendomi che la ragazza stava bene.
La mattina successiva non rispetto più gli orari e mi presento in reparto e trovo la ragazzina finalmente in piedi, ma molto barcollante e sconclusionata.
Cerco aiuto nel frattempo di amici e testimoni, chiamo persino un avvocato di “chi l’ha visto” e un avvocato per i diritti umani.
Questo provoca una loro messa in allerta e mi concedono di stare con ****** 24 su 24.
La ragazza comincia a stare meglio e dopo pochi giorni chiedo le dimissioni e le copie della cartella clinica che faticosamente riesco ad avere.
Purtroppo però, una volta a casa, senza aiuto, non siamo riusciti a gestire gli episodi di scompenso di *****. Dopo un giorno abbiamo dovuto accompagnarla noi al pronto soccorso nel timore che di nuovo qualcuno, sentendola urlare aiuto perché nella notte voleva uscire, potesse chiamare la polizia nuovamente e scattasse il TSO. Al pronto soccorso di *****, una volta sedata, ***** si è calmata e contro il parere dei medici che volevano ricoverarla nuovamente in psichiatri, firmiamo le dimissioni.
Ancora un giorno passato e arriva la mattina del lunedì dodici settembre, quando sfuggendo al mio controllo esce da sola e comincia a vagare per ***** in stato confusionale. Appena vede dei vigili li ferma confusa chiedendo loro di accompagnarla a scuola. Così mi chiamano e insieme la riaccompagnano a casa. Come salgono, però, la ragazza va in attacco di panico e comincia a urlare di volersi uccidere o essere uccisa. Così chiamano l’ambulanza e l’arrivo dei sanitari aumenta il suo delirio.
Ancora una volta viene portata in Psichiatria al *******.
Stavolta però ci dicono che dovremo rispettare gli orari e che mi viene tolta la possibilità di stare 24 su 24 che negli ultimi tre giorni del primo ricovero mi era stata faticosamente concessa.
****** sta sempre peggio, è a tratti astiosa e irrequieta, impaurita e disperata. Le hanno detto di non farsi più portare nulla da mangiare, neppure frutta, e lei avendo il terrore di loro, sta a qualsiasi loro disposizione, e mi urla dietro se provo a far diversamente.
Non appena c’è un contrasto o momento di suo astio nei miei confronti o nei confronti del papà ci allontanano dicendo che la nostra presenza la agita. Sono ormai passati otto giorni dal secondo ricovero e nessun incontro psicologico con la ragazza per noi famigliari è avvenuto, né in presenza di *****, né in sua assenza. Si sta convincendo, così come loro vogliono farle credere, che il problema della sua agitazione siamo noi genitori e non ci vuole quasi più vedere per paura che l’agitiamo.
Sono molto preoccupata e la mia bambina sta sempre peggio. Venerdì avrò un incontro col suo Psichiatra, dott. *****. Intendo andare con un registratore perché son stanca di sentirmi accusare di falsità e prendere in giro.
Sento cosa mi dirà, quanto ancora intendono trattenerla, se stanno progressivamente scalando la terapia e cosa intendono fare dopo, perché dalla cartella clinica del primo ricovero risulta che hanno fatto richiesta a più cliniche psichiatriche post-acuzie per un ricovero ulteriore di *****, la quale impazzirebbe al venirne a conoscenza.
Mi chiedo cosa posso fare.
Posso rifiutare, nonostante ci sia una allerta al tribunale dei minori per non consenso alle cure, anche se abbiamo firmato il ricovero sia la prima che la seconda volta?
Ho contattato una clinica privata soft, diurna, di *****, si chiama *****, dove prospettano di disintossicarla lentamente dagli psicofarmaci e insieme affrontare il problema della tossicodipendenza da alcool e THC. Lì mi offrirebbero l’assistenza H24 di un operatore di supporto, degli incontri quotidiani con incontri con psicologi, terapie alternative, come Yoga, meditazione e altro. Cosa ne pensi? Ne hai sentito parlare?
Chiederò all’ospedale di contattare questa clinica per vedere se potrebbe rispondere alle loro richieste di cura per *****, perché purtroppo sembra che non possiamo opporci a tutto.
L’altenativa è il Centro Psico Sociale di zona, ma in quel caso come posso gestire le acuzie se ricapiteranno e posso io attuare una riduzione degli psicofarmaci, non rispettando le disposizioni mediche? Conosci per caso un bravo Psichiatra che si occupi della disintossicazione?
Secondo me **** preferirebbe stare in zona, frequentando il centro Cps, pur di poter incontrare qualche volta gli amici, e se si convince che non può interrompere di colpo la terapia e loro mi fanno un programma a scalare fino alla fine della terapia stessa, forse mi conviene accettare, invece che trasferirmi con lei a ****, dove tra l’altro, chi mi dice che siano veramente bravi? Lei, signor Pietro, cosa ne pensa? Per caso conosce qualche bravo psichiatra che si occupi della dissertazione dagli psicofarmaci , perché adesso ho un problema in più da gestire con ******?
Scusa la lunga introduzione ma sento di aver bisogno di aiuto, Cordiali saluti
Lettera firmata
RISPOSTA
Buongiorno Anonima
e grazie di aver scritto a questo piccolo uomo.
Come dico sempre, non sono un medico, non faccio diagnosi, non curo nessuno né prescrivo alcunché, e ben me ne guardo dal farlo, essendo io stesso un autentico sostenitore della capacità autoguaritiva del corpo umano, allorquando gliene venga data la possibilità.
Veniamo a noi…
Quanto riportato nella lettera avveniva alcune settimane fa.
Il giorno fissato per il colloquio con gli “umani e professionalissimi luminari” ricevo, mentre mi trovavo a casa nel mio giorno libero, una telefonata disperata da parte della madre della ragazza.
La stessa mi implorava di aiutarla a liberare la figlia, accompagnando lei e il marito al colloquio.
Senza pensarci un attimo, salto in macchina e percorro più di 100 km. Questo è il dialogo avvenuto con le facce di merda che pensavano di potersi approfittare nuovamente di due genitori poco preparati e di una ragazza indifesa.
Suoniamo al campanello di Psichiatria, e già vi lascio immaginare le loro facce quando, al posto di trovare i genitori da soli, si accorgono della mia presenza…
IO: “Buongiorno, mi chiamo Pietro Bisanti, mi occupo di tutela legale e materiale dei malati psichiatrici e dei loro familiari. Questa una delega della famiglia che mi permette di seguire la vicenda ed assistere al colloquio odierno”.
PSICHIATRA: (visibilmente scosso, mi stringe a fatica la mano): “Un attimo, devo prima sentire il parere del nostro ufficio legale” (e si chiude assieme ad altre tre colleghe dentro il reparto per circa mezz’ora).
PSICHIATRA: “Il nostro ufficio legale ha detto che fino a quando non si esprimono lei non è autorizzato ad entrare”.
IO: “Fino a prova contraria, le Leggi le fa il parlamento dello Stato italiano e non il vostro ufficio legale. Mi dica chi mi impedisce l’ingresso e me la prenderò direttamente con lui”.
A questo punto, gli psichiatri, increduli che qualcuno tenesse loro testa, rispondono che non avevano niente da dirmi, cercando di rintanarsi ancora in reparto.
Li blocco, dicendogli che volevo sapere i loro nomi e se la ragazza fosse o meno in TSO.
Solo alla minaccia di chiamare la Polizia, mi comunicano che la ragazza era in trattamento sanitario VOLONTARIO.
A questo punto, con l’autorizzazione dei genitori, li obblighiamo a prepararla per le dimissioni.
Tra ostracismi, minacce velate e non e disumanità più totale portiamo fuori la ragazza che, al momento, sta recuperando ogni giorno di più.
Per chi pensa che sia stato troppo volgare nella mia esposizione, basterebbe che vedesse il video di come era stata ridotta questa ragazza, che al posto di essere capita, accolta e aiutata per un abuso di hashish, è stata sedata e distrutta.
Fate schifo. Siete la rovina dell’umanità.
E finché avrò forza, non smetterò mai di combattervi.
Tremerete al sol sentire il mio nome.
Avanti così
Pietro Bisanti
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Siamo ora in grado di offrire un servizio di tutela legale, per chiunque si trovi tra le maglie della psichiatria o abbia subito da essa un danno.
Il concetto è molto semplice: chi può pagare poco, paga poco; chi non può pagare nulla, non pagherà nulla e noi interverremo comunque, per il semplice concetto che un essere umano in difficoltà deve sempre essere aiutato; chi può pagare tanto, pagherà il giusto e sarà a sua discrezione donare qualcosa a questa causa.
In questo modo, in base alle proprie possibilità, questo innovativo servizio potrà rimanere in piedi, senza sprofondare dopo due giorni.
SIAMO INOLTRE IN GRADO DI FORNIRE UN SERVIZIO DI ASSISTENZA PSICOLOGICA NON ATTRAVERSO IL SOLITO “PSICOLOGO DA LETTINO”, BENSI’ CON L’AUSILIO DI PROFESSIONISTI CHE AIUTINO VERAMENTE, SENZA “INCOLLARE” IL PAZIENTE A VITA.
Noi ci siamo. Per tutti, nel limite delle nostre possibilità.
Il THC dà tolleranza, ma non dipendenza fisica o, per essere più precisi ne dà, ma in misura limitata e solo se si fuma molto giornalmente, cosa obiettivamente non facile a farsi quando non si spaccia. Mi meraviglia che degli Psichiatri sedino pesantemente una persona, come se si trattasse di una tossicomane agganciata all'eroina o alla cocaina. una persona che fuma hashisc, tra l'altro e in genere di cattiva qualità, come è quello venduto per strada, che stona solo leggermente, non ha alcun bisogno di essere sedata, tuttalpiù potrà avere vantaggio, parlando con una Psicologa, delle ragioni del disagio che la induce a stonarsi. Dunque… bene ha fatto Pietro a occuparsi del caso, perché non si può curare un'influenza con un'iniezione di malaria. Ciao Pietro, complimenti per il coraggio e la determinazione mostrata intervenendo contro una scienza, la Psichiatria, che non dovrebbe mortificare lo spirito di chi è in sofferenza, ma limitarsi a dover considerare la situazione indagandone le cause.
spero che se succede di nuovo i genitori non portino piu' la figlia in un reparto di psichiatria e nemmeno al pronto soccorso visto che usano sedativi ,e cerchino di gestire da soli la cosa magari con aiuto di qualcuno in casa ; in ospedale le uniche soluzioni in caso di agitazione sono sedativi e contenzione , e non ne vedo altri in casi di urgenza perlomeno ;Giancluca
Grande Pietro!!! Avanti così!