INTERFERONE ALFA: NON TI CURO L’EPATITE “C” E IN PIU’ TI FACCIO USCIRE DI TESTA. CON LA CILIEGINA DELL’ANTIDEPRESSIVO

Collegno, l’ombra di un farmaco
dietro il massacro di Capodanno

“L’uomo che ha sparato prendeva una sostanza che può scatenare desideri di morte”
Si cerca di ricostruire la tragedia di Capodanno a Collegno: Daniele Garattini aveva perso il lavoro alcuni mesi fa e mal sopportava la cura contro l’epatite C che era costretto a fare
MARCO ACCOSSATO
TORINO
L’origine della tragedia di Capodanno potrebbe essere nella cura contro l’epatite C di cui Daniele Garattini soffriva. È un filone dell’indagine sul massacro della famiglia di Collegno. «L’interferone alfa utilizzato nella terapia può scatenare come effetti collaterali disturbi dell’umore piuttosto gravi: depressione, ansia, fino a manifestazioni psicotiche», conferma anche il dottor Tommaso Vannucchi, farmacologo e psichiatra, collaboratore di Medicitalia.it. Non a caso, «buona parte delle persone in cura con l’interferone, se predisposte – prosegue il dottor Vannucchi – manifestano rapidamente questi problemi, al punto da dover in alcuni casi interrompere immediatamente la terapia». Per tale motivo, «studi che mirano a prevenire questi effetti collaterali prevedono la somministrazione di farmaci anti-depressivi insieme all’interferone alfa». 
Un fatto è certo nel mistero che in parte ancora avvolge il dramma di martedì scorso alle porte di Torino. Anzi due, mentre si cerca un perché a una tragedia che appare inaccettabile: «Le persone più vulnerabili, già soggette a crisi depressive e d’ansia, sono maggiormente a rischio rispetto a chi non ha mai sofferto di tali disturbi». Ma soprattutto, e questo è un dettaglio molto importante per l’inchiesta, «chi è predisposto alla depressione e segue una terapia a base di interferone alfa deve essere tenuto costantemente sotto controllo, anche da uno psichiatra». 
Segnali premonitori  
Daniele Garattini, 57 anni, aveva manifestato segnali di una depressione così profonda prima di compiere la strage e poi uccidersi con una coltellata al cuore? «Solitamente – prosegue il dottor Vannucchi – il campanello d’allarme è l’irritabilità, il diventare cupo, o il rispondere improvvisamente male e in modo violento alle domande». Tra i sintomi dell’instabilità emotiva che si può scatenare, «c’è anche il desiderio del suicidio, che non significa necessariamente cercare la morte, ma anche soltanto pensare alla possibilità di uccidersi». Garattini, dopo la strage, si è ammazzato. 
Gli ultimi giorni  
L’inchiesta sta ricostruendo gli ultimi mesi, le ultime settimane, fino agli ultimi giorni e minuti della vita di Garattini, ex rappresentante di moda rimasto senza un posto alcuni mesi fa. A partire proprio dal lavoro, per arrivare al clima in casa. 
Vicini di casa e amici della famiglia Garattini si domandano sconvolti come sia possibile spiegare e accettare una tragedia simile. Che papà Daniele vivesse un momento particolarmente difficile della propria vita lo testimoniano in modo inequivocabile gli ultimi sms inviati da mamma Letizia, 54 anni, alla figlia Giulia, di 21, l’ultima a morire, in ospedale: «Ti ringrazio per quello che stai facendo per noi, della comprensione che hai per le condizioni di papà». Parole che sono forse segnali del malessere che stava divorando Garattini: «Devi avere pazienza, papà dovrà sostenere altri esami (dopo la diagnosi recente di epatite C, ndr), per questo è nervoso». 
Forse Daniele Garattini non era soltanto «nervoso». E forse a renderlo così era – paradossalmente – quel farmaco che mal tollerava e che invece avrebbe dovuto farlo sentire meglio. 
«Nella mia lunga esperienza – sottolinea il dottor Vannucchi, tornando al pericolo dell’interferone alfa – ho dovuto sospendere buona parte dei trattamenti, perché comparivano i primi segnali di depressione. Per questo è fondamentale che i pazienti siano tenuti sotto controllo, non solo per tutto il periodo della somministrazione, ma per un certo periodo anche terminata la cura». 
Fonte: LaStampa.it
COMMENTO

Anzitutto, per una maggiore comprensione della vicenda, invito tutti a leggere il mio precedente articolo “AMMAZZA MOGLIE, FIGLIA E SUOCERA E POI SI SUICIDA. ANTIDEPRESSIVI, LO SO CHE SIETE VOI“.
Si scopre quindi, come avevo subodorato, che i problemi economici non c’entrano proprio un bel niente, come invece la stampa è solita enfatizzare.
Quando entrerà nella testa dei medici, ma soprattutto degli psichiatri, che qualunque sostanza di origine chimica introdotta nell’organismo interagisce con esso tanto a livello organico quanto a livello psichiatrico?
Siamo ormai arrivati alla follia.
A una persona viene diagnosticata l’epatite “C”, che a sua volta viene curata con l’interferone alfa, che a sua volta causa pesanti sintomi depressivi, che a loro volta vengono trattati con antidepressivi SSRI o SNRI, che a loro volta provocano istinti suicidi/omicidi.
Questo significare curare una persona?
Questo significa riportare un essere umano a una vita dignitosa?
No. Questo significa portare un essere umano al camposanto, assieme alla propria famiglia in questo caso, infangandone pure la memoria e marchiandolo per l’eternità quale assassino, un debole che risolve i problemi cancellandoli con una pistola.
La medicina allopatica, ma soprattutto la psichiatria, possono solo dichiarare il proprio fallimento e ritenersi responsabili di quanto accaduto, a mio parere riconducibili a uno stato denominato “akatisia”, e causato proprio dall’utilizzo degli antidepressivi delle classi SSRI e SNR (rispettivamente, selettori della ricaptazione della serotonina e della serotonina-noradrenalina).
Uno stato, questo, in cui la persona perde il contatto con la realtà e viene investita da una vera e propria emergenza omicidiaria-suicidiaria: c’è una enorme bibliografia a riguardo, ma sembra che solo gli psichiatri non ne sappiano nulla.
Tutto sbagliato, tutto da rifare, tutto completamente senza senso.
Basterebbe una buona volta capire che l’epatite “C” non è altro che diretta conseguenza della tossemia interna e quindi dello stile di vita alimentare, tossico e spirituale.
Basterebbe una buona volta capire che i virus, intesi come organismi viventi e dotati di capacità replicativa, non esistono.
È tutto talmente banale, ma la soluzione è sempre la stessa, e cioè sovraccaricare un essere umano di farmaci all’inverosimile, soffocando i sintomi con altri farmaci, in una spirale senza fine.

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