ANTIDEPRESSIVO CYMBALTA: “DESIDERO SOLO MORIRE”. ORA LA AIUTO IO SIGNORA, ABBIA FIDUCIA
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LETTERA
Gent. sign. Bisanti,
sono una donna di 77anni e da circa 3 prendo il cymbalta per curare ansia e depressione in seguito alla morte di mio marito
Adesso vorrei smettere con questo psicofarmaco,ed ho già fatto un tentativo, seguendo i consigli di ANSIA FARMACI, arrivando quasi alla metà in 2 anni, ma poi mi sono ritornati ansia e depressione e l’ho ripreso a 60.
Può darmi qualche consiglio, vista la sua esperienza, per riuscire a diminuire e a smettere il Cymbalta?
Oltretutto, da quando l’ho ripreso non mi sento per niente bene, la testa confusa, grande stanchezza, mal di stomaco, desidero solo morire.
Grazie se mi risponderà
Chiara
RISPOSTA
Buongiorno sig.ra Chiara,
e grazie di aver scritto a questo piccolo uomo.
Come dico sempre, non sono un medico, non faccio diagnosi, non curo nessuno né prescrivo alcunché, e ben me ne guardo dal farlo, essendo io stesso un autentico sostenitore della capacità autoguaritiva del corpo umano, allorquando gliene venga data la possibilità.
Veniamo a noi…
Primo errore: credere che una sostanza chimica prodotta in laboratorio possa interagire con i mali dell’animo umano, risolvendoli. Sarebbe da prendere a calci chi le ha prescritto un potente antidepressivo per un LUTTO. Un LUTTO, e cioè qualcosa che DOBBIAMO ACCETTARE, METABOLIZZARE e GUARDARE AVANTI. Questa è la vita.
Secondo errore: sicuramente ha iniziato uno scalaggio lento e costante da come vedo, ma ha DIMENTICATO che scalare i farmaci senza provvedere, soprattutto a livello alimentare, a ripristinare uno stato di salute ottimale attraverso una costante disintossicazione, NON SERVE A NULLA. Lei si è mai chiesta se la morte di suo marito non sia stata la “famosa goccia che ha fatto traboccare il vaso”? In pratica, il suo corpo (e quindi la sua mente), indeboliti da anni di brutture farmacologiche e alimentari, hanno ceduto. Ora è il momento di ricominciare a trattare il suo corpo come una RELIQUIA e non come un CESTO DELL’IMMONDIZIA.
Terzo errore: quella che lei stava attraversando durante la dismissione si chiama “crisi eliminativa”, cioè il meccanismo autoguarente portato avanti dal corpo umano allorquando il carico tossico generale diminuisce. In pratica lei stava affrontando una crisi da dismissione da stupefacenti, e ha confuso dei “sintomi benefici” portati avanti dal corpo per disintossicarsi come un “ritorno della malattia”. Le crisi eliminative sono presenti ovunque e per qualunque tipo di “patologia” (e persino in assenza di questa, allorquando si migliori il proprio stato generale di salute attraverso una rinnovata alimentazione e un rinnovato stile di vita), e sono in pratica, come detto, un vero e proprio meccanismo di tipo depurativo. Sono destinate a passare ma bisogna perseverare e non temerle.
Quarto errore: quando si interrompono i farmaci e poi si riprendono si combina un DISASTRO. Non fanno più lo stesso “effetto” di prima proprio perché si va contro quel meccanismo depurativo che il corpo stava comunque mettendo in atto. Il “luminare” di turno che fa? Prescrive il farmaco nuovamente ma a dosi più alte, che come vede non fanno comunque più effetto. Questo “giochetto” non sa quante volte l’ho visto in altri casi simili al suo.
Questo è il piano di battaglia.
1) Acquistare immediatamente il mio libro “Assassini in pillole: la Psichiatria moderna vista con gli occhi di un carabiniere”. Non divento certo ricco vendendole un libro, ma a lei permetterà di capire finalmente in chiave igienista come funziona il corpo umano e come lo si mantiene in salute.
2) Leggere ATTENTAMENTE questo vademecum che spiega ESATTAMENTE come ripristinare la salute quando si è in terapia psichiatrica http://pietrobisanti.blogspot.it/2015/12/come-ci-si-disintossica-dagli.html, e potrà seguire il piano alimentare ivi esposto.
Ogni giorno andato è un giorno perso se non si comincia.
Io ci sono.
Pietro Eupremio Maria Bisanti
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Siamo ora in grado di offrire un servizio di tutela legale, per chiunque si trovi tra le maglie della psichiatria o abbia subito da essa un danno.
Il concetto è molto semplice: chi può pagare poco, paga poco; chi non può pagare nulla, non pagherà nulla e noi interverremo comunque, per il semplice concetto che un essere umano in difficoltà deve sempre essere aiutato; chi può pagare tanto, pagherà il giusto e sarà a sua discrezione donare qualcosa a questa causa.
In questo modo, in base alle proprie possibilità, questo innovativo servizio potrà rimanere in piedi, senza sprofondare dopo due giorni.
SIAMO INOLTRE IN GRADO DI FORNIRE UN SERVIZIO DI ASSISTENZA PSICOLOGICA NON ATTRAVERSO IL SOLITO “PSICOLOGO DA LETTINO”, BENSI’ CON L’AUSILIO DI PROFESSIONISTI CHE AIUTINO VERAMENTE, SENZA “INCOLLARE” IL PAZIENTE A VITA.
Noi ci siamo. Per tutti, nel limite delle nostre possibilità.